EDITORIALE di Giuseppe Favilla*

Parlare di diritti nella scuola è un campo minato. Moltissime norme e dei contratti nazionali che non sempre rispecchiano, in concreto, i diritti fondamentali presenti nella Carta Costituzionale. 

Il diritto di far sentire la propria voce; il diritto di essere presenti nel dibattito e creare dibattito può essere limitato a solo poche persone e talvolta ad alcune associazioni di lavoratori creando concretamente una riduzione della capacità di espressione del libero pensiero.

Il numero 5, l’ultimo del 2023, della nostra rivista cerca di dare risposta attraverso la voce dei nostri redattori, a questo fenomeno di limitazione dell’espressione, ma anche dare luce a quegli elementi utili affinché in ogni ambiente venga rispettato il diritto/dovere di esprimersi e di condividere la propria politica e le proprie opinioni. 

All’art. 3 della nostra Costituzione, vogliamo ancora una volta leggere e portare all’attenzione di tutti: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Dunque è assolutamente tacito che tutti i cittadini sono davanti alla legge uguali ma attenzione ci possono essere però delle limitazioni e che lo Stato dovrebbe rimuovere affinché ogni singola espressione si realizzi. 

Come sappiamo in ogni ambiente di lavoro dalla retribuzione al diritto di rappresentanza è regolamentato da un contratto collettivo che riassume quelle che sono le norme che regolamentano anche i rapporti tra datore di lavoro e lavoratore. Il Contratto dovrebbe rappresentare non solo la mediazione delle due parti, ma un documento democratico, aperto e inclusivo, che non limiti l’espressione delle minoranze e che dia la possibilità a tutti i lavoratori, indipendentemente dal colore sindacale di riferimento, di godere dei medesimi diritti e non solo dei doveri che esso prescrive in modo categorico. 

Un lavoratore, un docente della scuola Statale, oggi, deve prendere senza alcuna possibilità di poter far sentire la propria opinione, ciò che alcune sigle sindacali, con maggior numero di iscritti hanno siglato. Pur essendo garantita la facoltà di associazione sindacale, viene leso il diritto fondamentale alla rappresentanza al diritto di assemblea nei luoghi di lavoro. Una norma di diritto positivo che sembra diventare di natura Divina e guai a chi tenta di cambiarla fattivamente. Una norma che può essere letta perfettamente contro la libertà di espressione, come limitazione della libertà di opinione e dunque anticostituzionale. 

Il nostro intento in questo numero è leggere questo diritto come un diritto contro il personale docente e contro tutto il personale che non aderisce alle sigle sindacali maggiormente rappresentative. 

Ci rammarica però sapere come anche l’Amministrazione, attenta a mettere sempre la legge al primo posto, nel caso specifico abbia dimostrato cecità e poco senso di responsabilità nei confronti di quei lavoratori iscritti ai sindacati non rappresentativi (circa 40mila) a cui volontariamente limita la possibilità di riunirsi durante il proprio orario di lavoro costringendoli in modo indiretto a partecipare alle assemblee di chi da sempre la fa da padrone.

Cambieranno le cose? Lo crediamo fermamente ma solamente a fronte di una vera e propria rivoluzioni di idee e di principi, che al momento purtroppo sembrano seguiti da pochi.

* Direttore Responsabile di “ES-EssereScuola”

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